Pubblico impiego - Illeciti - Obbligo di comunicazione ai superiori - Istituto del
whistleblowing - Utilizzabilità.
Comunicazioni dei militari
Art. 748 delle disposizioni regolamentari.
La norma si inserisce nell’ambito del Libro IV, sul “Personale militare”, Titolo III, inerente la “Disciplina militare”, Capo II, dedicato alle “Norme di comportamento e di servizio”.
Fra le specifiche “Norme di servizio” di cui alla Sezione II, vi sono le “Comunicazioni dei militari” ai superiori. Quella che sicuramente qui interessa è la “sollecita comunicazione al proprio comando o ente […] b) degli eventi in cui è rimasto coinvolto e che possono avere riflessi sul servizio”.
Come si evince da una rapida lettura della sentenza n. 313/2023, il Tar per il Molise di Campobasso prende le mosse dai fatti inizialmente contestati al ricorrente e posti a fondamento della sanzione disciplinare, ossia la mancata comunicazione delle denunce presentate nei confronti di due colleghi, per fatti avvenuti in ambito lavorativo attinenti al servizio, e la conseguente tardiva (ed accidentale!) presa di coscienza degli accadimenti da parte dell’Amministrazione d’appartenenza.
Ciò posto, i principali aspetti che i giudici della Prima Sezione mettono in rilievo riguardano l’inciso “che possono avere riflessi sul servizio”, la funzione essenziale della disposizione di cui all’articolo 748, comma V, lettera b), infine, la speciale natura del rapporto di lavoro militare e, dunque, la nozione stessa di “servizio”.
L’obbligo di informare i superiori
Cominciando dal primo punto, il Collegio molisano cita l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il riferimento normativo ai fatti potenzialmente idonei a riflettersi sul servizio sottrae al militare ogni valutazione in merito all’effettivo impatto degli eventi sull’attività del settore di appartenenza e rende la comunicazione ai superiori gerarchici obbligatoria.
Sulla base di questi precedenti giurisprudenziali, la sentenza 313/2023 prende in esame la seconda questione, ponendo l’accento sulla “funzione strumentale della norma” e sull’essenza cautelare della prescrizione, la quale attribuisce al militare una valutazione “in senso ampio” dell’attinenza del fatto al servizio e rimette ai superiori gerarchici – così informati – il giudizio di effettiva e concreta pertinenza.
Tribunale Amministrativo Regionale Molise - Campobasso Sezione 1 Sentenza 24 novembre 2023
n. 313
Data udienza 25 ottobre 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 331 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto dal sig.
-OMISSIS--OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato ...., con domicilio digitale come da
PEC da Registro di Giustizia;
contro
il Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in ….., via (...);
per l'annullamento
per quanto riguarda il ricorso originario
- del provvedimento di cui alla nota prot. -OMISSIS- della Legione Carabinieri "..." - Comando
Provinciale -OMISSIS- del -OMISSIS- 2018, notificata in data -OMISSIS- 2018, di rigetto del
ricorso gerarchico presentato dal ricorrente in data -OMISSIS- 2018 avverso la sanzione
disciplinare irrogatagli di "quattro giorni di consegna";
- della nota prot. -OMISSIS- della Legione Carabinieri "..." - Compagnia -OMISSIS- - del -
OMISSIS- 2018, notificata in pari data, a mezzo della quale gli era stata inflitta la detta sanzione
disciplinare;
- nonché di ogni altro atto, accertamento e provvedimento precedente e/o successivo comunque
connesso con i richiamati impugnati provvedimenti, allo stato non conosciuto;
per quanto riguarda i motivi aggiunti del 23 febbraio 2022:
- degli stessi atti formanti oggetto dell'originario gravame.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Vista l'ordinanza cautelare -OMISSIS-2020;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2023 il dott…. e uditi per le parti i difensori
come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Comandante della Compagnia dei Carabinieri -OMISSIS- con provvedimento del -OMISSIS-
2018 irrogava al ricorrente, appuntato scelto dell'Arma al tempo dei fatti, una sanzione disciplinare
di corpo di "quattro giorni di consegna".
A fondamento della misura stava l'addebito della violazione degli artt. 717 e 748, comma 5, lettera
b) del d.P.R. n. 90/2010, in combinato disposto con l'art. 1355, commi 1, 2, 3 lett. a) e d), e 5 del
d.lgs. n. 66/2010, per avere l'interessato sporto due denunce presso la Questura -OMISSIS-,
rispettivamente il 14 agosto e il 7 settembre 2017, "nei confronti del Luogotenente -OMISSIS- e del
Brig….. -OMISSIS-, rispettivamente comandante ed addetto alla Stazione CC di -OMISSIS-", per
fatti attinenti al servizio risalenti all'8 novembre 2016 e al 10 marzo 2017 (periodo in cui lo stesso si
trovava in servizio presso la predetta stazione), omettendo tuttavia di "informare l'Amministrazione
di appartenenza che ne apprendeva l'esistenza incidentalmente e con grave ritardo".
2. Il ricorrente proponeva avverso il provvedimento sanzionatorio un ricorso gerarchico, in data -
OMISSIS- 2018, dinanzi il Comando Provinciale -OMISSIS- della Legione Carabinieri "...", il
quale però lo respingeva con provvedimento del -OMISSIS- 2018.
3. Da qui la proposizione del ricorso in epigrafe, notificato per mezzo P.E.C. il 1° settembre 2018,
col quale il ricorrente, premessa la narrativa appena sunteggiata, impugnava entrambi i
provvedimenti sopra indicati, affidandosi a un unico motivo di ricorso contenente i seguenti,
plurimi profili di censura:
- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 97 COST. E DEI PRINCIPI DI
TRASPARENZA E BUON ANDAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE;
- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 1, 3, 7 E SS. DELLA L. N. 241/1990.
VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 717 E 748, COMMA 5, LETTERA B)
DEL D.P.R. N. 90/2010;
- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLA
DIFESA - DIREZIONE GENERALE PER IL PERSONALE MILITARE - PROT. N. M_D GMILI
III 7 1/0294795 DEL 12.07.2012 E SS.MM.II;
- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 54-BIS D.LGS. N. 165/2001 COME
MODIFICATO DALLA LEGGE N. 179/2017;
- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 717 E 748, COMMA 5, LETTERA B)
DEL D.P.R. N. 90/2010, IN COMBINATO DISPOSTO CON L'ART. 1355, COMMI 1, 2, 3 LETT.
A) E D), 5 DEL D. LGS. 66/2010;
- ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI FATTI ED ERRONEA VALUTAZIONE
DEI FATTI POSTI A FONDAMENTO DEL RESO PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE E
DELL'ESAME E RIGETTO DEL PROPOSTO RICORSO GERARCHICO;
- ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE E DI ISTRUTTORIA;
- ECCESSO DI POTERE PER ILLEGITTIMITA' DERIVATA;
- ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE DEL PRIINCIPIO DI PROPORZIONALITA'.
SVIAMENTO. PERPLESSITA'.
In estrema sintesi, il ricorrente eccepiva la mancanza dei presupposti per l'irrogazione della
sanzione disciplinare riportata, sui rilievi che nella fattispecie sarebbero stati:
- assenti i presupposti applicativi dell'obbligo di comunicazione ai superiori ex art. 748, comma 5,
lett. b) del del d.P.R. n. 90/2010, in quanto le denunzie-querele presentate nell'agosto e nel
settembre 2017 non avrebbero potuto produrre riflessi significativi sul proprio servizio, anche
perché rivolte nei confronti di militari appartenenti a Stazione dei Carabinieri ormai diversa da
quella di suo servizio al tempo della loro proposizione;
- preclusa, comunque, l'irrogazione della sanzione medesima in ragione dell'operatività delle cause
di esclusione dell'esercizio di un proprio diritto ex art. 1466 del d.lgs. n. 66/2010, nonché
dell'adempimento del dovere di comunicazione all'Autorità Giudiziaria di illeciti conosciuti in
occasione del rapporto di pubblico impiego ex art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001 (c.d.
whistleblowing).
4. Successivamente, in data 23 febbraio 2022 (ossia quasi quattro anni dopo il ricorso), l'interessato
proponeva motivi aggiunti avverso i predetti provvedimenti, chiedendone per la prima volta la
sospensione dell'efficacia.
5. Resistevano, allora, le Amministrazioni statali, eccependo l'inammissibilità dei motivi aggiunti
per tardività e contestando il contenuto di tutte le doglianze del ricorrente, delle quali veniva chiesto
in ogni caso l'integrale rigetto.
6. Questo T.A.R. respingeva la domanda di tutela cautelare con l'ordinanza -OMISSIS-2020 (con la
quale si rilevava, quanto al fumus boni iuris, che i motivi aggiunti non recavano specifiche ragioni a
fondamento della nuova impugnativa, la quale sembrava voler dilatare inammissibilmente il thema
decidendum pur nell'assenza di atti medio tempore intervenuti e/o di nuove produzioni documentali
giustificative dell'introduzione di nuove doglianze).
7. In vista, poi, dell'udienza di discussione, le Amministrazioni costituite con memoria del 17
gennaio 2023 rassegnavano le proprie conclusioni conformemente al proprio precedente scritto.
Nulla, invece, depositava la parte ricorrente.
8. All'udienza pubblica del 25 ottobre 2023, all'esito della discussione tra le parti, la causa è stata
infine trattenuta per la decisione.
9. Preliminarmente il Collegio ritiene di dover affrontare l'eccezione di inammissibilità dei motivi
aggiunti del 23 febbraio 2022 per tardività, ritualmente sollevata dalle Amministrazioni intimate
nella loro memoria di costituzione.
Secondo la difesa erariale la proposizione dei motivi aggiunti, investenti i medesimi provvedimenti
impugnati con il ricorso originario, non sarebbe stata giustificata dalla mancata conoscenza
integrale degli atti stessi al tempo del primitivo gravame: circostanza che sola avrebbe potuto
giustificare lo spostamento in avanti del dies a quo del termine di impugnazione degli atti impugnati
con il ricorso originario, e quindi la proposizione dei motivi aggiunti in analisi.
10. L'eccezione, ad avviso del Collegio, merita senz'altro condivisione.
10.1. Il Collegio ricorda che, secondo il consolidato orientamento anche di qu esto Tribunale, sono
in via generale da ritenersi inammissibili i ricorsi per motivi aggiunti allorquando: i) si risolvano in
una riproposizione dell'originaria impugnazione arricchita da ulteriori doglianze allo scopo di
introdurre motivi "dimenticati" nel ricorso introduttivo, sì da dilatare il thema decidendum in
violazione del termine decadenziale previsto dall'art. 29 del cod. proc. amm.; ii) non siano
giustificati da una nuova produzione documentale in causa, né dalla tardiva conoscenza, aliunde
acquisita, di vizi del provvedimento che non sarebbe stato possibile al ricorrente acquisire con la
normale diligenza già al momento dell'atto introduttivo (cfr. ex multis T.A.R. Molise, 14 marzo
2022, n. 67, che richiama Cons. Stato, sez. IV, 6 febbraio 2017, n. 481).
10.2. Calati detti criteri di giudizio nel caso di specie, i motivi aggiunti del 23 febbraio 2022
ricadono perfettamente in ognuna delle cennate situazioni di inammissibilità .
Essi, invero, si risolvono nell'introdurre quantomeno un nuovo profilo di censura del provvedimento
di rigetto del ricorso gerarchico, sub specie di violazione dell'obbligo di astensione in capo agli
ufficiali incaricati della trattazione del ricorso, così da dilatare inammissibilmente il thema
decidendum in violazione del termine decadenziale ex art. 29 del C.P.A..
Al contempo, il ricorrente non ha sorretto la presentazione della predetta nuova censura, e più
ampiamente, dei propri motivi aggiunti, allegando la circostanza dell'eventuale conoscenza
successiva di nuovi atti, o nuovi aspetti di censura afferenti ai precedenti atti impugnati. Di
converso, come opposto dalla difesa erariale, il complesso degli atti presupposti ai provvedimenti
impugnati era ben noto al ricorrente fin da quando lo stesso aveva conseguito positivamente
l'accesso documentale del 1° marzo 2018, ben prima della proposizione del ricorso originario e
persino del ricorso gerarchico.
10.3. Ne discende, pertanto, l'inammissibilità dei motivi aggiunti.
11. Una volta trattata tale eccezione preliminare, il Collegio può procedere al vaglio del ricorso
originario.
12. Tale ricorso è integralmente infondato per le ragioni che saranno di seguito esposte.
13. Occorre, in primo luogo, ricostruire i f atti contestati al ricorrente, il cui accertamento ha
giustificato l'applicazione della sanzione disciplinare.
13.1. Come emerso dagli atti di causa, il -OMISSIS- aveva presentato una prima denuncia in data
14 agosto 2017 a carico del Luogotenente -OMISSIS- e del Brigadiere Capo -OMISSIS-
(rispettivamente, Comandante e Sottufficiale in Sottordine della Stazione Carabinieri di -
OMISSIS-), presso la Questura -OMISSIS-, per fatti attinenti al servizio accaduti l'8 novembre
2016.
La denunzia concerneva, nello specifico, una giustificazione, per legittimo impedimento dovuto a
improcrastinabili esigenze di servizio, rilasciata dal Brigadiere -OMISSIS- - in quel momento
comandante interinale della Stazione- a favore del Luogotenente -OMISSIS-, a non presenziare
nell'udienza dibattimentale relativa al giudizio R.G.N.R. -OMISSIS- in qualità di testimone.
La giustificazione veniva ritenuta falsa dal -OMISSIS- in quanto, a suo dire, il -OMISSIS- era in
realtà in licenza.
13.2. Successivamente, il -OMISSIS- aveva presentato in data 7 settembre 2017 una nuova
denuncia, sempre presso la Questura -OMISSIS-, a carico del Luogotenente -OMISSIS-, per fatti
attinenti al servizio verificatisi, questa volta, il 10 marzo 2017.
Oggetto di questa nuova denuncia era la mancata emissione del certificato di viaggio in favore del
denunciante per il suo trasferimento dalla Stazione Carabinieri di -OMISSIS- a quella di -
OMISSIS-.
13.3. A seguito delle predette denunzie si incardinavano due distinti procedimenti penali di cui al
R.G. nn. -OMISSIS- e -OMISSIS-, entrambi archiviati dal Tribunale -OMISSIS-, su richiesta dello
stesso P.M. (e nonostante l'opposizione per uno di essi da parte del ricorrente), con provvedimenti
del 20 marzo 2018 e 5 giugno 2018.
14. Ciò posto, il Collegio è dell'avviso che correttamente l'Arma abbia ritenuto che, a seguito della
proposizione di dette denunzie, fosse sorto in capo all'attuale ricorrente l'obbligo di effettuare le
comunicazioni di cui all'art. 748, comma 5, lettera b) del TUROM: e questo a prescindere dalla
circostanza che i fatti con esse denunciati avessero riguardato le condotte di militari appartenenti a
una Stazione dei Carabinieri diversa rispetto a quella di servizio del ricorrente al tempo della
singola denunzia.
14.1. L'articolo, invero, obbliga il militare a dare sollecita comunicazione al proprio comando o ente
degli eventi in cui è rimasto coinvolto e che possano comunque avere riflessi sul servizio.
La giurisprudenza amministrativa, cui questo Tribunale ritiene di aderire, ha, in particolare ,
evidenziato come l'espressione "che possono avere riflessi sul servizio" debba essere intesa come
"finalizzata a rendere doverosa la comunicazione ai superiori gerarchici (o, comunque, al Reparto di
appartenenza) di qualunque fatto attinente al servizio". Non può essere condivisa, infatti, "una
interpretazione della disposizione che attribuisca al militare la possibilità di valutare l'incidenza del
fatto (o dell'evento) sulle attività del reparto o del gruppo in cui lo stesso è inserito, considerato che
appare del tutto evidente che tale valutazione deve essere riservata ai superiori gerarchici destinatari
della comunicazione". La norma "ha in effetti la funzione (quasi cautelare o precauzionale) di
rendere edotti i superiori gerarchici delle notizie che possono avere riflessi sul servizio", sicché
"l'unica valutazione che deve essere operata dal militare è la pertinenza dell'evento al servizio in
senso ampio e comprensivo" (cfr. T.A.R. Sardegna, sez. II, 3 luglio 2017, n. 447).
14.2. Ebbene, in ragione dell'indicata, lata funzione strumentale della norma, non vi è dubbio che il
-OMISSIS-, sporgendo le predette denunce, avesse posto in essere, con ciò, una condotta che non
poteva non avere riflessi sul servizio.
E ciò per una duplice ragione, sia di contenuti che di finalità .
14.2.1. Guardando, innanzitutto, al contenuto delle denunzie-querele, le stesse vertevano su fatti
avvenuti non solo durante il servizio prestato dal ricorrente presso la stazione dei Carabinieri di -
OMISSIS- nel 2016, ma anche in ragione del servizio stesso.
I fatti denunziati, infatti, si connotavano per essere: - attinenti al servizio; - imputati espressamente,
dal denunciante, ad altri militari dell'Arma appartenenti alla stessa sede di servizio del -OMISSIS-
ai tempi del fatto; - relativi a condotte riconducibili ad adempimenti di natura istituzionale; appresi
dal militare denunciante in ragione del proprio ruolo e della propria appartenenza all'Arma dei
Carabinieri.
Né può ritenersi dirimente l'argomento dell'inattualità dell'obbligo di comunicazione rispetto alla
sede, ormai mutata, presso cui il ricorrente prestava il proprio servizio al momento della denunzia.
I fatti denunziati, invero, avrebbero ben potuto "avere riflessi" sull'attività dell'intera Legione di
Carabinieri "..." (in cui ricadono entrambe le stazioni dei Carabinieri di -OMISSIS- e -OMISSIS-),
in quanto, qualora fossero stati accertati dal Giudice Penale con sentenza di condanna (ma, ancor
prima, già qualora fossero stati oggetto di specifica imputazione ritenuta dal G.U.P. capace di
sostenere la fase del giudizio), gli stessi avrebbero potuto comportare conseguenze tanto sul piano
disciplinare, a carico dei militari ritenuti responsabili (esemplificativamente, dal trasferimen to
d'ufficio alla sospensione del grado), quanto sull'organizzazione e sul funzionamento stesso della
Legione.
14.2.2. Volgendo poi lo sguardo alla finalità dell'obbligo comunicativo in questione, il Collegio
osserva che la nozione di "servizio" di cui all'art. 748, comma 5, lett. b) del T.U. cit. ha un
contenuto ben più ampio rispetto a quello, prospettato in ricorso, strettamente connesso al rapporto
di lavoro tra il militare e l'Amministrazione.
Si ricorda che l'ordinamento militare è connotato da un peculiare carattere di specialità e
autosufficienza rispetto all'ordinamento generale, manifestata, tra l'altro, dalla circostanza che la
fonte della sua disciplina - il d.lgs. n. 66 del 2010 - è denominata, appunto, "codice
dell'ordinamento militare".
In questo contesto di specialità del rapporto di lavoro, fortemente caratterizzato dal modello
organizzativo di stampo gerarchico, la recente giurisprudenza amministrativa ha attentamente
evidenziato che l'obbligo di comunicazione ex art. 748, comma 5 lett. b) del TUROM "costituisce la
proiezione del dovere di ogni appartenente alle forze dell'ordine di tenere sempre un
comportamento irreprensibile, conforme alla dignità delle proprie funzioni, in qualsiasi circostanza,
anche fuori dal servizio (...) Per tale ragione l'Amministrazione deve essere portata a conoscenza di
fatti che possono avere riflessi sul servizio svolto, ledendo il prestigio dell'istituzione o che siano
idonei ad incidere sullo stato giuridico, su eventuali concorsi, sull'impiego, sull'avanzamento,
sull'ufficio o sulla struttura di assegnazione" (cfr. T.A.R. Veneto, sez. I, 20 luglio 2023, n. 1098).
Così ampiamente declinato il concetto di "servizio", risulta evidente come il ricorrente non potesse
essere ammesso a giustificare l'inosservanza del proprio obbligo comunicativo ai superiori
basandosi sulla tesi di comodo (e incongruamente autoreferenziale) che detto obbligo sarebbe
potuto sorgere soltanto con riferimento ad eventi afferenti alla sua propria persona.
I fatti denunziati, invero, erano idonei a ledere il prestigio stesso dell'Arma dei Carabinieri, nonché,
come si è detto poc'anzi, lo stato giuridico dei militari cui la stessa Arma aveva pur sempre
attribuito incarichi direttivi presso una Stazione del territorio molisano.
Pertanto, il ricorrente doveva necessariamente informare i superiori della proposizione delle
denunzie, non foss'altro che per poter permettere ai primi di valutare con tempestività, nei limiti
delle informazioni acquisite, le opportune iniziative del caso nei confronti dei militari denunziati.
In questo senso correttamente si è dunque espresso il provvedimento di rigetto del ricorso
gerarchico del -OMISSIS- 2018, allorché con esso si è ritenuto che "il contenuto della norma
contestata al ricorrente esplicita, in modo chiaro, che l'interesse tutelato è quello di assicurare
all'Amministrazione la conoscenza, per finalità d'istituto, degli eventi in cui il militare "è rimasto
coinvolto e che possono avere riflessi sul servizio" (...) La norma di cui all'art. 748/5-b del D.P.R.
90/2010, nel richiamare i possibili riflessi sul servizio, indica implicitamente la necessità che venga
comunicato ogni evento che, in senso lato, possa interessare l'Amministrazione di appartenenza in
relazione all'attività di servizio prestata dall'interessato e questo sicuramente più a tutela
dell'Amministrazione Militare che del militare eventualmente coinvolto"; e del pari ineccepibile è la
precisazione, infine, che "la valutazione sulla sussistenza, sulle implicazioni o sulle conseguenze di
un episodio effetto di azione giudiziaria coinvolgente militari dell'Arma, compete alla scala
gerarchica di appartenenza che deve, dunque, sempre essere messa in condizione di conoscere, nel
rispetto del segreto istruttorio, la vicenda considerata, anche per le opportune verifiche interne e per
i rimedi o provvedimenti del caso".
14.3. Alla luce di quanto fin qui esposto, pertanto, non sembra possibile negare, alla luce dei
contenuti delle predette denunzie-querele, che dalle medesime insorgesse, da parte del denunciante,
l'obbligo di comunicazione ai propri superiori gerarchici ai sensi dell'art. 748, comma 5 lett. b) del
T.U. cit..
15. Né è sostenibile la tesi del privato per cui l'Amministrazione militare non avrebbe potuto
irrogare la sanzione disciplinare nei suoi confronti in ragione della alternativa operatività delle
cause di esclusione: - dell'esercizio di un diritto costituzionale del denunciante ex art. 1466 del
Codice; - dell'assolvimento del dovere di denunziare all'Autorità giudiziaria fatti relativi a condotte
ritenute illecite di cui il denunciante era venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di
lavoro ex art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001.
15.1. In rapporto alle prima delle due scriminanti invocate il Collegio, condividendo la corretta
obiezione espressa sul punto dalla difesa erariale, deve osservare che la sanzione disciplinare
applicata al -OMISSIS- nel caso di specie non era diretta a sanzionare ex post l'esercizio, da parte
del militare, del proprio diritto (e obbligo) di denunzia all'Autorità Giudiziaria, bensì intesa a
censurare la sua successiva inottemperanza all'obbligo di comunicazione al proprio Comando delle
denunce stesse, una volta effettuate. Sicché il caso di specie non è in alcun modo riconducibile
all'ambito applicativo della causa di esclusione di cui al citato art. 1466.
15.2. Parimenti non trova applicazione, nella fattispecie, la scriminante ricollegabile all'art. 54-bis
del d.lgs. n. 165/2001.
15.2.1. Il Collegio osserva, preliminarmente, che, nonostante l'intervenuta entrata in vigore della
nuova disciplina in materia di whistleblowing di cui al d.lgs. n. 24 del 10 marzo 2023, l'art. 54 -bis
cit. resti la norma centrale regolatrice della fattispecie concreta in esame: tanto in forza dell'art. 24,
comma 1, del predetto decreto legislativo, secondo il quale "Alle segnalazioni o alle denunce
all'autorità giudiziaria o contabile effettuate precedentemente alla data di entrata in vigore del
presente decreto, nonché a quelle effettuate fino al 14 luglio 2023, continua no ad applicarsi le
disposizioni di cui all'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, all'articolo 6, commi 2-
bis, 2-ter e 2-quater, del decreto legislativo n. 231 del 2001 e all'articolo 3 della legge n. 179 del
2017".
15.2.2. Ora, l'art. 54-bis esclude l'applicazione della sanzione disciplinare "ritorsiva" nei confronti
dell'autore di denunzie di reati o irregolarità di cui sia venuto a conoscenza nell'ambito del rapporto
di lavoro pubblico.
Specificamente, il comma 1 del predetto articolo specifica che "Il pubblico dipendente che,
nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della
prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all'articolo 1, comma 7, della legge 6
novembre 2012, n. 190, ovvero all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia
all'autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza
in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato,
trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle
condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. L'adozione di misure ritenute ritorsive, di cui al
primo periodo, nei confronti del segnalante è comunicata in ogni caso all'ANAC dall'interessato o
dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le
stesse sono state poste in essere. L'ANAC informa il Dipartimento della funzione pubblica della
Presidenza del Consiglio dei ministri o gli altri organismi di garanzia o di disciplina per le attività e
gli eventuali provvedimenti di competenza". A completamento della predetta prescrizione, il
successivo comma 7 precisa che sia "a carico dell'amministrazione pubblica o dell'ente di cui al
comma 2 dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del segnalante,
sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa" e che gli "atti discriminatori o ritorsivi
adottati dall'amministrazione o dall'ente sono nulli".
15.2.3. La portata della norma è stata però ben puntualizzata dai successivi atti di natura regolatoria,
adottati dall'ANAC in forza del comma 4 del citato articolo, e dalle indicazioni della giurisprudenza
amministrativa.
La determinazione dell'ANAC n. 6 del 28 aprile 2015, avente ad oggetto le "Linee guida in materia
del dipendente pubblico che segnala illeciti (c. Whistleblower)", applicabile ratione temporis
all'epoca delle denunzie e del procedimento disciplinare di cui si tratta, ha precisato, - nella parte II,
paragrafo 3 "Oggetto della segnalazione" -, che "le condotte illecite oggetto delle segnalazioni
meritevoli di tutela comprendono non solo l'intera gamma dei delitti contro la pubblica
amministrazione di cui al Titolo II, Capo I, del codice penale (ossia le ipotesi di corruzione per
l'esercizio della funzione, corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio e corruzione in atti
giudiziari, disciplinate rispettivamente agli artt. 318, 319 e 319-ter del predetto codice), ma anche le
situazioni in cui, nel corso dell'attività amministrativa, si riscontri l'abuso da parte di un soggetto del
potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati, nonché i fatti in cui - a prescindere dalla
rilevanza penale - venga in evidenza un mal funzionamento dell'amministrazione a causa dell'uso a
fini privati delle funzioni attribuite, ivi compreso l'inquinamento dell'azione amministrativa ab
externo. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, ai casi di sprechi, nepotismo,
demansionamenti, ripetuto mancato rispetto dei tempi procedimentali, assunzioni non trasparenti,
irregolarità contabili, false dichiarazioni, violazione delle norme ambientali e di sicurezza sul
lavoro".
Simili argomentazioni sono state inoltre reiterate dall'ANAC nella versione aggiorn ata delle
predette Linee Guida di cui alla delibera n. 469/2021, al paragrafo 2.2. della sua Parte I ("oggetto
della segnalazione"), lì dove l'Autorità ha chiarito che "I fatti illeciti oggetto delle segnalazioni
whistleblowing comprendono, quindi, non solo le fattispecie riconducibili all'elemento oggettivo
dell'intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione di cui al Titolo II, Capo I, del
codice penale, ma anche tutte le situazioni in cui, nel corso dell'attività amministrativa, si
riscontrino comportamenti impropri di un funzionario pubblico che, anche al fine di curare un
interesse proprio o di terzi, assuma o concorra all'adozione di una decisione che devia dalla cura
imparziale dell'interesse pubblico".
In tale contesto regolamentare è intervenuta, inoltre, la giurisprudenza amministrativa, la quale,
richiamandosi alle argomentazioni esposte nel parere n. 615/2020 del 24 marzo 2020 della Sezione
I del Consiglio di Stato - reso con riferimento alla citata delibera ANAC del 2021-, ha evidenziato
che:
- occorre "una puntuale perimetrazione dell'ambito applicativo in modo da evitare che la nuova
disciplina possa essere strumentalmente utilizzata per scopi essenzialmente di carattere personale o
per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori" (cfr.
Cons. Stato, sez. II, 6 dicembre 2021, n. 8150);
- "se quindi le ragioni pubbliche devono necessariamente sussistere, la lettera della legge (che
riporta, tra i presupposti di applicabilità dell'istituto stesso, che la segnalazione sia fatta
"nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione" (...) deve essere letta in senso opposto,
come già lo stesso T.A.R. aveva fatto in occasione della citata sentenza n. 3880/2018, quando aveva
affermato che "l'istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere
personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di
superiori. Questo tipo di conflitti infatti sono disciplinati da altre normative e da altre procedure"
(cfr. Cons. Stato, sez. II, 6 dicembre 2021, n. 8150, che richiama espressamente Cons. Stato, sez.
VI, 2 gennaio 2020, n. 28; vd. anche recentemente Cons. Stato, sez. II, 17 maggio 2023, n. 4912).
15.2.4. Alla luce di tali indicazioni giurisprudenziali il Collegio rileva che, per le ragioni di cui si sta
per dire, le due denunzie sporte dal ricorrente non fossero riconducibili alla portata operativa del
menzionato art. 54-bis.
15.2.4.1. La prima denunzia del 14 agosto 2017, avente a oggetto la segnalazione della ritenuta
falsità della giustificazione, rilasciata al Luogotenente -OMISSIS- dal Brigadiere -OMISSIS-, a non
comparire a un'udienza dibattimentale in qualità di testimone, non esplicitava, in sé, una situazione
di malfunzionamento della P.A. a causa dell'uso a fini privati della funzione.
La "falsità " enunciata nella denunzia, anche ove fosse stata in ipotesi accertabile dall'Autorità
Giudiziaria, non avrebbe integrato, infatti, alcun fenomeno latu sensu corruttivo, non essendo stata
prospettata dal -OMISSIS- "l'utilità ", elemento costitutivo di tutte le fattispecie corruttive della
funzione amministrativa (artt. 318, 319, 319-quater e 320 del c.p.), che il Brigadiere -OMISSIS-
avrebbe ottenuto dalla ipotizzata "falsa giustificazione" del Luogotenente -OMISSIS-. Falsità,
peraltro, esclusa nello stesso procedimento penale n. -OMISSIS- originato dalla denunzia in
questione, definito con decreto di archiviazione del G.I.P. del 20 marzo 2018 ove emergeva che il
Luogotenente era effettivamente impegnato a una riunione di coordinamento operativo tenuta dal
Comandante della Legione Carabinieri "…." presso il Comando provinciale -OMISSIS-, ancorché
si trovasse in licenza.
15.2.4.2. Ancor più carente del requisito dell'"l'interesse dell'integrità della pubblica
amministrazione" era poi la seconda denunzia del 7 settembre 2017.
La medesima, avente a oggetto la mancata emissione del certificato di viaggio in favore del
ricorrente per il suo trasferimento dalla Stazione Carabinieri di -OMISSIS- a quella di -OMISSIS-,
esprimeva difatti un interesse strettamente personale del denunciante, ed era pertanto agevolmente
riconducibile a quelle "rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori" che,
come si è visto, non sono idonee a rientrare nel fuoco dell'art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001.
15.3. Discende, pertanto, dalle considerazioni esposte la correttezza dell'agere dell'Amministrazione
militare, stante la sussistenza dei presupposti per l'irrogazione della sanzione disciplinare
impugnata.
Le doglianze di parte ricorrente vanno quindi respinte in qu anto infondate.
16. La complessità delle questioni giuridiche trattate giustifica, nondimeno, la compensazione delle
spese processuali tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima, definitivamente pronunciando
sulla controversia in epigrafe, così statuisce:
- rigetta il ricorso originario, siccome infondato;
- dichiara inammissibili i successivi motivi aggiunti.
Compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30
giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo
e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda
alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità del ricorrente, nonché degli ulteriori
soggetti ivi citati.
Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2023 con l'intervento dei
magistrati:
….. - Presidente
…. - Referendario
…. - Referendario, Estensore
13-04-2024 13:44
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