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Sentenza

ARMI - Munizioni - Militare dell'arma dei carabinieri - Detenzione di un num...
ARMI - Munizioni - Militare dell'arma dei carabinieri - Detenzione di un numero di cartucce superiore alle quindici unità - Configurabilità del reato di cui all'art. 697 cod. pen. - Sussistenza - Inapplicabilità dell'art. 38 t.u.l.p.s. - Ragioni
Cass. pen. Sez. VI Sent., 18/05/2021, n. 21019 (rv. 281508-01)
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRICCHETTI R. G. - Presidente -

Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere -

Dott. APRILE E. - rel. Consigliere -

Dott. PATERNO' RADDUSA B. - Consigliere -

Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi presentati da:

1. P.M., nato a (OMISSIS);

2. G.A., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/12/2019 della Corte di appello di Brescia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ercole Aprile;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Perla Lori, che ha concluso chiedendo per il P. l'inammissibilità del ricorso del P.; per il G. l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato del capo 8), con assorbimento anche dell'esame del terzo e dell'undicesimo motivo dell'impugnazione, e la inammissibilità nel resto del ricorso;

udito per la parte civile S.A. l'avv. Ugo Carminati, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso del G., con condanna del prevenuto e dei responsabili civili Ministero della difesa e Ministero degli interni alla rifusione delle spese di difesa nel grado;

udito per il G. l'avv. Giovanni Maria Giaquinto, in sostituzione dell'avv. Mauro Giuliano Giaquinto, che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
Svolgimento del processo

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Brescia riformava parzialmente la pronuncia di primo grado - riconoscendo la continuazione tra i reati contestati ai capi 1) e 5), e riducendo la pena inflitta a P.M.; correggendo e modificando le pena inflitte per specifici reati, nonchè applicando (in accoglimento dell'impugnazione del Procuratore generale) una pena accessoria ad G.A. - e confermava nel resto la medesima pronuncia del 29 maggio 2018 con la quale il Tribunale di Cremona aveva condannato:

- P.M. in relazione ai reati di cui all'art. 81 c.p., comma 2, L. 20 febbraio 1958, n. 75, artt. 3 e 4 (capo 1); art. 81 c.p., comma 2, e D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, (così qualificato il reato contestato al capo 5), per avere, in (OMISSIS), sfruttato e favorito la prostituzione di numerose ragazze (tra le quali B.M., S.Z.R., Z.I., B.A., T.R.V., D.S.N.F., D.A.S., J.T.B. e C.M.): in particolare per avere, quale proprietario e gestore del ristorante con discoteca (OMISSIS), reclutandole per il tramite di terzi, procurato ad alcuni facoltosi clienti, cui poi veniva presentato un conto elevato, ragazze disponibili a prostituirsi che venivano fatte sedere ai tavoli insieme ai clienti, mentre per i rapporti sessuali venivano messi a disposizione, a seconda dei casi, un ufficio o un appartamento ubicati all'interno del locale, oppure camere d'albergo in precedenza prenotate; nonchè per avere abitualmente messo a disposizione delle stesse ragazze e dei clienti sostanza stupefacente del tipo cocaina, offerta durante le serate, consentendone il consumo all'interno del locale;

G.A., maresciallo dei carabinieri, a quel tempo in servizio presso la stazione di Vescovato, in relazione ai reati di cui agli artt.:

- art. 81 c.p., comma 2, e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per avere in (OMISSIS), ceduto in ripetute occasioni sostanza stupefacente del tipo cocaina a varie giovani, tra cui A.D.C., detta S., ballerina di lap-dance presso il night (OMISSIS), e C.M., detta M., ragazza immagine presso il (OMISSIS), solitamente al fine di consumare con le stesse rapporti sessuali (capo 7);

- art. 81 c.p., comma 2, e art. 187 C.d.S., comma 1, per avere, in (OMISSIS), guidato in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanza stupefacente del tipo cocaina (capo 8);

- artt. 110, 56 e 317 c.p.; artt. 110, 479 c.p. e art. 61 c.p., n. 2, per avere, tra il (OMISSIS), in concorso con l'appuntato dei carabinieri V.M., pure in servizio presso la stazione di (OMISSIS), abusando dei loro poteri, compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere S.G., detto L., ad acquistare una partita di almeno 10 o 20 grammi di eroina, ad informarli sugli accordi presi con lo spacciatore per la consegna dello stupefacente, sì da consentire loro di effettuare l'arresto in flagranza, con conseguenti vantaggi personali in ambito professionale, non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla loro volontà; nonchè per avere, al fine di eseguire quella tentata concussione, redatto un falso verbale attestando di aver sottoposto il S. a perquisizione il (OMISSIS) e avergli trovato indosso la droga, laddove la perquisizione era stata eseguita il precedente (OMISSIS) e il S. aveva spontaneamente consegnato la sostanza detenuta (capi 10 e 11);

- art. 317 c.p., per avere, in (OMISSIS), abusando dei propri poteri, costretto M.F. ad acquistare sostanza stupefacente del tipo cocaina e hashish da T.F. e ad informarlo sugli accordi presi con quest'ultimo per la consegna della droga, in maniera tale da consentirgli di effettuare un arresto in flagranza, con conseguenti vantaggi personali in ambito professionale (capo 12);

- artt. 110 e 479 c.p.; artt. 110, 368 c.p. e art. 61 c.p., n. 9; artt. 110 e 606 c.p.; artt. 110, 490 c.p. e art. 61 c.p., n. 9, per avere, in (OMISSIS), in concorso con l'appuntato V., attestato falsamente in una annotazione di polizia giudiziaria, parte integrante di un verbale di arresto, che A.S., arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, aveva reagito con aggressività colpendo con un calcio al ginocchio il V. e con una testata il G.; così incolpando il S. di resistenza a pubblico ufficiale, sapendolo innocente, laddove lo stesso era stato vittima della violenza esercitata, con schiaffi, pugni, insulti e minacce dai due militari, che avevano in tal modo abusato dei poteri e violato i doveri inerenti alle loro pubbliche funzioni, eseguendo in tal modo un arresto abusivo per un reato inesistente; nonchè per avere, il giorno successivo, strappato il certificato di idoneità alla guida e la carta di circolazione del ciclomotore del S. (capi 13, 14, 15 e 16);

- art. 326 c.p., per avere, in (OMISSIS), violando i doveri inerenti alle sue funzioni, rivelato al gestore e al responsabile di sala del night (OMISSIS) notizie riservate, in particolare che due giorni dopo i carabinieri avrebbero eseguito un controllo in quel locale notturno (capo 18);

- art. 697 c.p. (così riqualificati i fatti accertati) per avere, in (OMISSIS), detenuto illegalmente 25 munizioni da guerra 9x19 parabellum (capo 19);

- artt. 120, 58 c.p.m.p. e art. 47 c.p.m.p., n. 2; art. 164 c.p.m.p. e art. 47 c.p.m.p., n. 2, per avere, in (OMISSIS), concorrendo con l'appuntato V. inferiore in grado - comandato per un servizio di perlustrazione nel turno dalle 18.00 alle 24.00, pure fornendo false indicazioni alla centrale operativa durante i controlli radio - violato le consegne ricevute, recandosi in zone poste fuori dalla giurisdizione del proprio reparto, facendo salire a bordo dell'auto di servizio una ragazza, intrattenendosi con la stessa in una zona di campagna, consumando pasticcini e bevendo spumante, nonchè esplodendo munizioni calibro 9 parabellum in dotazione, così disperdendo, deteriorando o comunque rendendo inservibile parte del munizionamento affidatogli, con l'aggravante di essere un militare rivestito in grado (capi 1 e 2), decreto G.I.P. 12 maggio 2016);

- art. 116 c.p.m.p. e art. 47 c.p.m.p., n. 2, per avere, in (OMISSIS), con l'aggravante di essere un militare rivestito in grado, ritenuto oggetti di armamento militare costituito da 17 cartucce calibro 9 parabellum e da 5 bossoli dello stesso calibro, di proprietà dell'amministrazione militare, senza che fossero muniti di marchio o segni di rifiuto, o comunque che tali oggetti avessero legittimamente cessato di appartenere al servizio militare (capo 3, decreto G.I.P. 12 maggio 2016).

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso P.M., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti due motivi.

2.1. Mancanza di motivazione, per avere la Corte distrettuale omesso di rispondere alla doglianza formulata con l'atto di appello in ordine alla eccessività della pena determinata dal giudice di primo grado per il reato del capo 1), pena che è stata riproposta senza alcuna modifica; e per avere erroneamente riferito a tale delitto la pena inflitta dal Tribunale di Cremona per il reato del capo 5);

2.2. Vizio di motivazione, per contraddittorietà, per avere la Corte di appello determinato la pena in relazione al reato satellite del capo 5), posto in continuazione con l'altro reato, in misura ingiustificatamente superiore a quella prevista per il coimputato P.G., cugino del ricorrente, chiamato a rispondere dello stesso delitto, senza che risultino precisate le ragioni di differenziazione nella valutazione dei comportamenti individuali e del relativo trattamento sanzionatorio.

3. Contro la medesima sentenza ha proposto ricorso anche il G., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti tredici motivi.

3.1. Violazione di legge, in relazione al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermato la condanna dell'imputato per il reato del capo 7), benchè le carte del processo non avessero offerto alcuna prova in ordine alla natura e alla qualità della sostanza asseritamente offerta dal G.; che dalle intercettazioni era emerso che il prevenuto non sapeva se la sostanza ceduta alla M. fosse cocaina; che la C. non aveva affatto visto nè utilizzato la droga asseritamente lasciatale in bagno; e che i "doni" fatti alla A. erano stati del tutto indeterminati, sicchè non poteva escludersi che la sostanza offerta o ceduta fosse priva ovvero avesse un modestissimo principio attivo, potendo, perciò, i fatti essere qualificati come di lieve entità; considerato, altresì, che le deposizioni delle testi cessionarie della sostanza erano risultate inattendibili, perchè non congruenti; che la teste M. in dibattimento aveva reso una versione diversa da quella fornita durante la fase delle indagini, specificamente con riferimento alle persone che le avevano offerto la cocaina e al numero di volte in cui aveva sniffato le "righe"; che la teste C. - la cui credibilità era stata messa in discussione con l'appello, senza aver ricevuto alcuna risposta dalla Corte distrettuale - non era stata in grado di collocare cronologicamente gli episodi narrati (aspetto, questo, che aveva avuto rilevanza anche ai fini della condanna dell'imputato per il reato del capo 8) ed aveva proposto narrazioni difformi da quelle rese nella fase delle investigazioni (in specie, sul consumo di cocaina in un bagno e sulle modalità di assunzione della droga lungo un viaggio in auto a Desenzano); ed ancora, che la teste A. aveva parlato di acquisti di cocaina fatti assieme al G. per farne uso in compagna e non anche di droga consegnatagli dall'imputato.

3.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 187 C.d.S., e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale confermato la condanna dell'imputato per il reato del capo 8), nonostante non fosse stato affatto provato che, proprio quando si trovava a bordo di veicoli, il G. si fosse posto alla guida e si trovasse in uno stato di alterazione psico-fisico derivante dall'assunzione di droga (ovvero di sostanza di cui non si è accertato se avesse capacità drogante): considerato che il predetto non era stato mai sottoposto ad alcun esame o analisi clinica; che non è sufficiente che avesse genericamente ammesso di avere in precedenza assunto cocaina, nè che fosse di "ottima qualità" la droga in possesso di colei che aveva talvolta rifornito il G.; e che la deposizione sul punto della teste P. era risultata inattendibile.

3.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 512 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di merito confermato la condanna dell'imputato per il reato del capo 7), valorizzando le dichiarazioni rese durante le indagini dalla teste P., inutilizzabili perchè acquisite sulla base di una insufficiente ricerca della donna, dunque in assenza di dimostrazione della irripetibilità della precedente deposizione: tenuto conto che nel (OMISSIS) la P., dopo essersi sposata, risultava ancora presente a Cremona; e che la stessa si era trasferita in Romania dove sarebbe stata agevolmente reperibile al numero di telefono del marito.

3.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 512 c.p.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte bresciana confermato la condanna dell'imputato per il reato del capo 10), nonostante l'acquisizione delle precedenti dichiarazioni del teste S.G. fosse avvenuta in una situazione nella quale, fin dalla fase delle indagini, era prevedibile che lo stesso si sarebbe reso irreperibile, in quanto in precedenza trovato in possesso di stupefacente (essendo al riguardo irrilevante la completezza delle ricerche successivamente esperite, durante il giudizio dibattimentale, per cercare di rintracciarlo).

3.5. Violazione di legge, in relazione all'art. 317 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermato la condanna dell'imputato per il reato del capo 10), mancando di considerare che il S. era stato fermato dal G. perchè trovato in possesso di eroina e perchè già conosciuto come fornitore di droga anche a minori, dunque di tenere conto che l'imputato aveva agito per fini istituzionali, non avendo potuto trarre vantaggi a fini di carriera (così come sostenuto dal giudice di primo grado); e che, perciò, non essendo stato provato che avesse tratto una qualche utilità personale da quella iniziativa, al più avrebbe dovuto rispondere del diverso e meno grave reato di cui all'art. 610 c.p..

3.6. Violazione di legge, in relazione all'art. 317 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale confermato la condanna dell'imputato per il reato del capo 12), benchè fosse stato dimostrato che il G. aveva agito (peraltro, unitamente ad altri cinque militari) per finalità istituzionali, fermando un soggetto, il M., già noto come assuntore di stupefacente e segnalato al Sert, datosi alla fuga al momento del fermo, al quale il maresciallo si era limitato a domandare il nome del suo spacciatore della droga: vicenda nella quale, esclusa la possibilità che l'imputato avesse operato per ottenere un avanzamento di carriera, la Corte bresciana aveva risposto in maniera incompleta e contraddittoria alla doglianza difensiva circa la inattendibilità della testimonianza del M., che aveva offerto un racconto impreciso, soprattutto sull'ora del fermo, e che aveva maturato sentimenti negativi verso colui che lo aveva in precedenza fermato; nonchè circa l'impossibilità di qualificare come valido riscontro la deposizione del teste Giudici, al quale l'amico aveva fornito una falsa versione per evitare di essere qualificato come confidente dei carabinieri: deposizione, quella del Giudici, che era stata in parte anche divergente da quella proveniente dal M., in particolare sulla durata della loro permanenza in caserma dopo essere stati fermati. Il successivo arresto del T., scoperto mentre stava cedendo stupefacente, era stato certamente legittimo, di talchè la condotta del G. si sarebbe potuta al più qualificare come reato ai sensi dell'art. 610 c.p..

3.7. Violazione di legge, in relazione agli artt. 479, 368 e 606 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere la Corte distrettuale confermato la condanna dell'imputato per i reati dei capi 13), 14) e 15), asseritamente valorizzando la confessione dell'imputato, senza considerare che le intercettazioni avevano comprovato che S.A. aveva minacciato il G., così resistendo all'operazione di polizia attuata nei suoi riguardi, condotta che il maresciallo e il suo sottoposto avevano dovuto contrastare anche dotandosi di un manganello.

3.8. Violazione di legge, in relazione all'art. 490 c.p., e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere la Corte di merito confermato la condanna dell'imputato per il reato del capo 16), non essendo stato accertato che il documento strappato dal G. fosse la carta di circolazione del motorino del S., essendovi sul punto contrasto tra quanto asserito dai giudici di primo e quelli di secondo grado; e non potendosi neppure escludere che quella carta di circolazione fosse stata smarrita dall'interessato a distanza di tempo dai fatti; nè potendosi qualificare quel documento come atto pubblico.

3.9. Vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermato la condanna dell'imputato per il reato del capo 18), ingiustificatamente sostenendo che la frase pronunciata dal G., che aveva asserito di essere stato costretto "a perdere per lo meno 100 privè", potesse essere interpretata nel senso che il G. lo aveva informato di una verifica di polizia che lo aveva indotto a sospendere l'attività del locale di incontro dei clienti con le ragazze.

3.10. Violazione di legge, in relazione all'art. 697 c.p. e art. 166 c.p.m.p., e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale confermato la condanna dell'imputato per il reato del capo 19) e di quello del capo 3) del proc. aggiunto, senza tenere conto che la normativa in materia, dettata dall'art. 38 T.U.L.P.S., esentava il maresciallo G. dalla denuncia delle 15 cartucce che, come appartenente ad un corpo armato, egli poteva legittimamente detenere in un luogo espressamente destinato allo scopo; nonchè per avere ingiustificatamente escluso che per l'uso delle diciassette cartucce calibro 9 fosse configurabile un fatto di particolate tenuità, facendo riferimento alla potenzialità lesiva di ogni singola munizione e non anche al valore economico di ciascuna di esse.

3.11. Violazione di legge e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte distrettuale erroneamente negato il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati dei capi 7) e 8), la cui sussistenza, invece, è comprovata dalla qualità dell'imputato di assuntore di stupefacente e dalla indicata personalità egocentrica e onnipotente: avendo, poi, contraddittoriamente ritenuto applicabile l'art. 81 c.p., comma 2, con rifermento a tutti gli altri reati, perchè asseritamente commessi dal prevenuto in condizioni similari.

3.12. Violazione di legge, in relazione all'art. 62-bis c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello ingiustificatamente disatteso la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche, benchè fosse risultato che l'imputato aveva commesso i reati contro la pubblica amministrazione per finalità istituzionali, valorizzando il dato oggettivo della qualità di pubblico ufficiale e, invece, trascurando lo stato di incensuratezza del prevenuto.

3.13. Violazione di legge e vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale immotivatamente escluso che le pene inflitte in maniera sproporzionata potessero essere contenute nel minimo edittale ovvero nella misura minima per l'aumento per la continuazione, non potendo, a tal fine, essere considerati contra reum gli errori materiali commessi dal Tribunale nell'applicazione dell'apparato sanzionatorio previsto da singole norme incriminatrici.
Motivi della decisione

1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di P.M. vada rigettato.

1.1. Il primo motivo del ricorso è infondato.

Con la sentenza di primo grado il Tribunale di Cremona aveva condannato P.M. alla pena di anni due mesi sei di reclusione e Euro 6.000 di multa per il reato di cui al capo 1), e alla pena di anni due di reclusione e Euro 6.000 di multa per il reato di cui all'art. 81 c.p., comma 2, e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, così qualificato il fatto contestato al capo 5).

Con il quarto motivo dell'atto di appello la difesa dell'imputato si era doluta, tra l'altro, della eccessività della pena inflitta per il capo 1) e della sproporzione della pena irrogata per il capo 5): motivo che, con il ricorso oggi in esame, la difesa si è doluta non essere stato considerato dai giudici di secondo grado.

La Corte di appello, riconoscendo, in riforma della sentenza impugnata, la continuazione tra i due anzidetti reati, ha rideterminato la pena per P.M. partendo da quella di anni due mesi sei di reclusione e Euro 6.000 di multa per il più grave reato base, aumentandola per la continuazione di un anno di reclusione e Euro 3.000 di multa in relazione al reato satellite posto in continuazione: facendo riferimento al reato base più grave, che non poteva che essere quello previsto dall'art. 81 cp., comma 2, L. 20 febbraio 1958, n. 75, artt. 3 e 4 come si evince dal fatto che si è indicata la pena già stabilita per tale delitto dal giudice di primo grado; sono per un errore materiale, emendabile da questa Corte, nella motivazione è stato richiamato il capo d'imputazione 5), anzichè il capo 1).

Se sulla richiesta di ulteriore diminuzione della pena inflitta per il reato del capo 5) vi è motivazione implicita nella pronuncia in esame, avendo la Corte territoriale spiegato come dovesse essere disattesa la richiesta difensiva di ulteriore riduzione della sanzione in considerazione del protagonismo dell'imputato nella vicenda esaminata e della reiterata commissione di attività illecite, lo stesso primo motivo, nella parte in cui ci si è doluti della mancata riduzione della pena irrogata per il reato del capo 1) è inammissibile per carenza di interesse, in quanto, per effetto della riconosciuta continuazione, la pena per tale reato satellite è stata sensibilmente ridotta dai giudici di secondo grado.

1.2. Il secondo motivo del ricorso è privo di pregio.

Nella giurisprudenza di legittimità si è affermato, in generale, che può essere considerato come indice del vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati laddove il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia caratterizzato da asserzioni irragionevoli o paradossali (in questo senso, tra le altre, n. 27115 del 19/02/2015, La Penna, Rv. 264020). Tuttavia, si è pure chiarito che non è possibile porre in comparazione la pena irrogata ad imputati chiamati a rispondere del medesimo reato se la loro posizione sia stata processualmente definita con l'applicazione di istituti differenti: in particolare, si è condivisibilmente sottolineato che, in tema di ricorso per cassazione, non può essere considerato come indice di vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato ai coimputati la cui posizione sia stata definita mediante patteggiamento, perchè tale rito conduce ad una decisione che si fonda su valutazioni del tutto particolari, che tengono anche conto del risparmio processuale conseguente alla scelta di una forma di definizione del processo alternativa al dibattimento (così Sez. 6, n. 24402 del 12/03/2008, Schifino, Rv. 240356).

Principio, quest'ultimo, la cui validità è possibile ribadire anche con riferimento alla operatività della disciplina del concordato con rinuncia ai motivi di appello, prevista dall'art. 599-bis c.p.p., che costituisce una forma di patteggiamento la cui instaurazione è finalizzata a favorire una deflazione dei carichi di lavoro dinanzi al giudice di secondo grado.

E', perciò, errato parificare il trattamento sanzionatorio riservato a due imputati ai quali - come nel caso di specie è accaduto per i cugini M. e P.G. - sia stato contestato un medesimo reato, ma che hanno definito la rispettiva posizione in forme procedimentali diverse, quella ordinaria per l'odierno ricorrente e quella del concordato con rinuncia ai motivi, con indicazione della pena definita d'accordo tra le parti, per il concorrente.

1.3. Al rigetto segue la condanna del P. al pagamento delle spese processuali.

2. Ritiene la Corte che anche il ricorso presentato nell'interesse di G.A. vada rigettato.

3. La gran parte delle doglianze proposte dal G. - nel primo e nel secondo motivo, nonchè in quelli dal quinto al nono - in termini di vizi di motivazione, non superano il vaglio preliminare di ammissibilità in quanto formulate per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.

Il ricorrente solo formalmente ha indicato i vizi di mancanza, di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione della decisione gravata, ma non ha prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell'argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni, in termini tali da disarticolare la completezza e la globale tenuta logica di quelle determinazioni; non essendo stata neppure lamentata una inadeguata descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento.

Il ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che la Corte di appello di Brescia aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante l'istruttoria dibattimentale di primo grado. E tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un travisamento delle prove, vale a dire una incompatibilità tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da mettere in discussione la coerenza logica dell'intera motivazione, è stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di travisamento dei fatti oggetto di analisi, sollecitando un'inammissibile rivalutazione dell'intero materiale d'indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell'ambito di un sistema motivazionale logicamente esauriente.

Tali considerazioni valgono anche la valutazione del tenore delle numerose intercettazioni valorizzate come prove a carico, perchè relative alla interpretazione delle frasi usato dai soggetti interessati a quelle comunicazioni captate dagli inquirenti, che è questione di fatto, rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se - come nella fattispecie è accaduto - la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724). Al riguardo, va anzi evidenziato come il ricorso si presenti in più punti aspecifico, non essendosi la difesa confrontata realmente con quei numerosi passaggi della motivazione della sentenza nei quali erano stati valorizzati elementi di prova di inequivoco significato dimostrativo delle responsabilità dell'imputato.

La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede, dunque, una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità.

3.1. In particolare, va rilevato come la Corte distrettuale abbia convincentemente spiegato, con riferimento ai vizi denunciati con il primo motivo del ricorso, che le dichiarazioni accusatorie dalle ragazze M.M., C.M. e A.D.C., le quali tutte avevano riferito di avere in più occasioni ricevuto in consegna o in offerta dal G. dosi di cocaina da sniffare - pur presentando talune discrasie attinenti, però, a circostanze secondarie, talora giustificate dal ricordo sfumato per il passaggio del tempo erano risultate globalmente attendibili sotto l'aspetto intrinseco e, soprattutto, erano state, nel loro nucleo essenziale, riscontrate dal contenuto di numerose intercettazioni (significativamente trascurate nel ricorso) che avevano comprovato come in quel periodo il G. avesse frequentemente consumato cocaina anche in compagnia di amici e accompagnatrici. I giudici di secondo grado hanno, altresì, chiarito come la A., con la quale l'imputato in quel periodo aveva avuto una relazione sentimentale, avesse ammesso di avere talvolta acquistato 'in società' con il prevenuto cocaina da consumare assieme, ma aveva aggiunto che in molte altre occasioni era stato il compagno a cederle quantitativi ogni volta variabili tra 1,5 e 5 grammi di quello stupefacente;

e che credibili erano state anche le affermazioni della A. in ordine al consumo di cocaina da parte del G. durante un viaggio in auto verso Desenzano, perchè, pur non precise in ordine al numero di volte in cui, lungo il tragitto, il predetto aveva sniffato la droga, erano state corroborate, non tanto dalla verificata disponibilità da parte dell'imputato di una vettura di colore e caratteristiche analoghe a quelle descritte dalla ragazza, quanto dall'accertata abitudine, confermata da altre emergenze processuali, del G. a consumare cocaina, poggiandola su un cd e inalandola, nel mentre si trovata in compagnia di amici, nell'abitacolo della sua vettura in movimento.

In un siffatto contesto probatorio, non tradisce alcuna regola di logica l'avere la Corte territoriale affermato l'irrilevanza del mancato sequestro della cocaina ogni volta ceduta, offerta e consumata dall'odierno ricorrente, tanto più che questi aveva ammesso di avere più volte utilizzato quella droga; e che le carte del processo avevano comprovato che la sostanza gli veniva sistematicamente consegnata (in partite ogni volta di peso variabile tra i 5 e 15 grammi) da tale B.L.P., che aveva a disposizione droga di ottima qualità "perchè non tagliata", come dalla stessa riconosciuto e come confermato dai risultati delle analisi della droga sequestrata in occasione dell'arresto della ragazza, sostanza, in quella circostanza trovata pura al 90%.

3.2. Con riferimento ai vizi di motivazione denunciati con il secondo motivo, la Corte di appello ha perspicuamente rilevato come il G. si trovasse nella sua vettura, durante i vari spostamenti, e quindi era verosimile che fosse alla guida della sua auto: come anche confermato dalle intercettazione ambientale del dicembre 2014, nel corso delle quali il prevenuto aveva comunicato ad un amico di volersi fermare per fare una sniffata di cocaina, così dimostrando di essere proprio lui in conducente del veicolo; e, un'altra volta, era stato registrato nel mentre alla guida del suo mezzo stava assumendo quella droga assieme a due amici.

3.3. Analogamente inammissibili sono le doglianze formulate con il quinto motivo, avendo la Corte territoriale puntualizzato come la versione offerta da S.G. - il quale aveva riferito di essere stato fermato il (OMISSIS), di essere stato trovato in possesso di una piccolo quantitativo di eroina e di essere stato dal G. costretto, dietro la minaccia di "devastazione" della sua abitazione, di una segnalazione alla prefettura per l'applicazione di sanzioni amministrative e di mancata restituzione della patente di guida e della ulteriore documentazione che gli era stata tolta, ad organizzare l'acquisto dal suo fornitore di una partita di almeno 10 o 20 grammi di quello stupefacente, per permettere ai carabinieri di procedere all'arresto del cedente la droga - fosse risultata riscontrata sia dal tenore della telefonata intercettata il 3 dicembre 2014, nel corso della quale il G. aveva confidato al collega Parrello di avere fermato la sera prima un indiano, di avergli trovato addosso un pò di eroina e di avergli dato la scadenza del 9 dicembre per organizzare l'arresto del suo fornitore con almeno venti grammi di eroina, che altrimenti avrebbe mandato gli atti alla prefettura, gli avrebbe "fatto fare il Sert" e fatto "saltare" la patente di guida; sia anche dalla redazione di un falso verbale, datato (OMISSIS), con il quale l'imputato, resosi conto della indisponibilità del S. a dare seguito alle sue pressanti richieste, aveva dato atto di aver fermato quel giorno l'indiano e di averlo trovato in possesso di quel piccolo quantitativi droga, segnalandolo alla locale prefettura, laddove quanto narrato si era verificato sette giorni prima.

Nè va trascurato il contenuto di una ulteriore conversazione, captata in ambientale nel marzo del 2015, durante la quale l'appuntato V., parlando con due colleghi, aveva richiamato l'episodio accaduto ad (OMISSIS) e raccontato, con tono critico, come quelle modalità fossero espressione di una sorta di aberrante prassi operativa valorizzata dal G. per arrivare ai risultati investigativi sperati.

3.4. In relazione ai vizi di motivazione denunciati con il sesto motivo, è stato congruamente motivato dalla Corte di merito come la versione offerta dall'imputato in ordine alla vicenda dell'arresto del T. fosse stata smentita dalle emergenze processuali: tenuto conto che la diversa, intrinsecamente attendibile narrazione del M. - che, fermato e trovato in possesso di alcune cartine per sigarette, e condotto in caserma, era stato costretto dal G., che lo aveva dapprima minacciato di segnalarlo al Sert e poi gli aveva puntato contro una pistola, ad organizzare l'acquisto di un quantitativo di cocaina dal T., che era stato successivamente così arrestato - che giammai avrebbe potuto "costruire" una versione così gravemente calunniosa verso il sottufficiale solo perchè in precedenza era stato segnalato alla prefettura per il possesso di piccoli quantitativi di droga, era risultata riscontrata sia dalla deposizione del Giudici, che fermato unitamente all'amico e trattenuto per molto tempo in caserma, all'uscita aveva notato il M. profondamente turbato e da questi aveva ricevuto la confidenza di essere stato minacciato dal maresciallo; sia anche dal contenuto di una ulteriore conversazione captata dagli investigatori, nel corso della quale l'appuntato Vanini, parlando con un collega di quella operazione contro il T., aveva ammesso che "pure quello...(arresto era stato)... sempre forzato". Senza dire che non vi è traccia delle autorizzazioni che il G. ha sostenuto di aver ricevuto dai suoi superiori per poter effettuare quella operazione antidroga, sfruttando l'asserita disponibilità del M..

3.5. Ancora, con riferimento ai vizi di motivazione denunciati con il settimo e l'ottavo motivo), resta esente da qualsivoglia censura di illogicità la ricostruzione, privilegiata dai giudici di merito, della vicenda riguardante l'arresto di S.A.: tenuto conto che la falsità del verbale redatto dal G. e dal V. - con il quale i due sottufficiali avevano giustificato l'applicazione di quella misura precautelare nei confronti dell'indiano, asseritamente resosi responsabile di una aggressione nei loro confronti - dunque anche della sussistenza dei connessi reati di calunnia e arresto illegale, erano state comprovate dal contenuto di una conversazione intercettata in ambientale nel corso della quale i predetti militari, commentato con aperto atteggiamento di ilarità quanto accaduto il giorno precedente, avevano riconosciuto di aver organizzato una "fantomatica ricostruzione del fatto" e di non aver subito alcuna lesione da parte dell'arrestato, ma anzi di avere usato verso lo stesso una estrema violenza, munendosi di un manganello, "facendolo volare nel garage" e "crepandolo" nell'auto. Captazione che era stata preceduta da un ulteriore colloquio, pure registrato dagli inquirenti, durante il quale il G., prima dei fatti, aveva preannunciato al V. di voler cercare il S. al quale avrebbe dato "tante di quelle botte che manco lui se le ricorda", nonchè da una successiva durante la quale il V., preoccupato del sangue che l'indiano stava perdendo, aveva rimproverato il G. "di aver voluto giocare": intercettazioni ambientali che avevano, altresì, dimostrato inequivocabilmente come i due avevano anche strappato i documenti trovati nel bauletto del ciclomotore del S. (ragionevolmente sia il "libretto", dai due menzionato espressamente, che la certificazione di guida che l'indiano non aveva più trovato nel suo scooter), spargendo i relativi residui da un cavalcavia dell'autostrada.

3.6. Infine, in relazione ai presunti vizi di motivazione denunciati con il nono motivo del ricorso, le censure in fatto formulate dalla difesa risultano finalizzate esclusivamente a rivisitare gli esiti della valutazione delle prove compiute dai giudici di merito: i quali, con apparato argomentativo logicamente più che congruo (integrato dalla motivazione della conforme sentenza di primo grado), hanno posto in luce come la prova della sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di rivelazione di segreto d'ufficio contestato al capo 18) fosse agevolmente desumibile dal testo delle intercettazioni ambientali eseguite nell'abitacolo della vettura in uso al G. e di quelle telefoniche sull'utenza di G.G.. Captazioni che avevano consentito di accertare che le ispezioni dei due locali notturni (OMISSIS) e (OMISSIS), eseguite la sera del (OMISSIS) dai carabinieri di Cremona e precedute dall'invio, due giorni prima, di una nota di servizio dal comando provinciale alla stazione di Vescovato all'epoca comandata proprio dal maresciallo G., erano state pure precedute da una serie di significative interlocuzioni: quella nell'incontro, la sera del (OMISSIS), nel parcheggio antistante il (OMISSIS), dell'imputato con un soggetto in quel momento non identificato al quale il primo aveva fatto leggere qualcosa, raccomandandogli di riferirlo a Guido; la successiva di quella stessa sera, nel corso della quale quella persona aveva fatto sapere al G., gestore del night club, che vi sarebbe stata "al locale una visita importante"; ed ancora quella del pomeriggio del 28 marzo, durante la quale il G., riferendo a tale Giacomo che il controllo non vi sarebbe stato perchè "dovevano fare prima il (OMISSIS)", si era lamentato che la sospensione delle attività gli "avevano fatto perdere per lo meno 100 privè". Colloqui il cui senso era stato illuminato, ai fini che qui interessano, dalle dichiarazioni rese da Giovanni Speciale, responsabile di sala del (OMISSIS), il quale aveva riconosciuto di aver incontrato, la sera del (OMISSIS), il G., il quale gli aveva fatto leggere un documento da cui risultava che i carabinieri avrebbero fatto un intervento proprio nel loro locale per controllare la identità delle ragazze ivi presenti.

4. Prive di pregio sono le censure che la difesa dell'imputato ha formulato in termini di mancata osservanza o errata applicazione di norme di legge penale sostanziale o processuale.

4.1. Inammissibile è la lamentata violazione, formulata con il primo motivo di ricorso, del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, in quanto prospettata per la prima volta con il ricorso per cassazione.

4.2. Infondata è la doglianza relativa alla violazione di legge denunciata con il secondo motivo del ricorso.

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione il principio secondo il quale, ai fini della configurabilità della contravvenzione di guida sotto l'influenza di sostanze stupefacenti, è di regola necessario che lo stato di alterazione del conducente dell'auto venga accertato attraverso un esame tecnico su campioni di liquidi biologici, trattandosi di verifica che richiede conoscenze tecniche specialistiche per l'individuazione e la quantificazione della sostanza: tuttavia, l'assenza di tali accertamenti non compromette la motivazione di condanna resa dai giudici di merito se la stessa sia fondata su un convincimento sufficientemente motivato, in relazione alle peculiarità dello specifico caso di specie (in questo senso, tra le altre, Sez. 4, n. 38520 del 21/09/2007, De Rosa, Rv. 237778).

Di tale criterio interpretativo la Corte di appello di Brescia ha fatto corretta applicazione sottolineando come i dati di conoscenza offerti dal processo avessero dimostrato, da un lato, che il G. non si era posto alla guida dopo aver assunto la cocaina, ma nei casi in contestazione aveva assunto quello stupefacente proprio mentre si trovava alla guida della sua vettura; e come, da altro lato, la cocaina di cui il prevenuto, in quelle circostanze, aveva fatto consumo proveniva da rifornimenti garantiti dalla predetta B., che si era vantata di essere in possesso di droga di alta qualità e che, in occasione del suo arresto era stata significativamente trovata nella disponibilità di cocaina con un principio attivo pari al 90% del totale della sostanza. E' stato, dunque, corretto affermare che l'assunzione di quello stupefacente, che notoriamente ha un effetto immediato, contestualmente alla guida della vettura avesse causato una alterazione sia pur minima della condizioni psicofisiche del guidatore.

Nè vi è stata alcuna violazione di legge nel riconoscere la continuazione tra i plurimi episodi di reato analiticamente contestati nel capo d'imputazione, in quanto la motivazione della sentenza di appello può considerarsi, sul punto, integrata da quella della conforme pronuncia di primo grado nella quale sono stati indicati in maniera specifica i singoli casi in cui è stata accertata la guida di una vettura da parte dell'imputato sotto l'influenza di sostanze stupefacenti.

4.3. Inammissibile è il terzo motivo del ricorso, riguardante l'asserita violazione dell'art. 512 c.p.p., nella quale resta assorbita la generica doglianza inerente a vizi di motivazione.

E ciò non solo perchè la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese durante la fase delle indagini dalla persona informata dei fatti P., in dibattimento acquisite per la sopravvenuta impossibilità di ripetizione, è stata eccepita per la prima volta con il ricorso per cassazione in relazione all'imputazione del capo 7), laddove con l'atto di appello l'eccezione era stata riferita alla diversa imputazione del capo 8); ma soprattutto perchè il ricorrente ha omesso di chiarire in che misura la prospettata inutilizzabilità della deposizione di quella ragazza fosse capace di disarticolare la tenuta della motivazione posta a fondamento della condanna.

Costituisce, infatti, espressione di un consolidato orientamento interpretativo il principio secondo il quale, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali non solamente indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio, ma anche chiarirne l'incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (in questo senso, tra le molte, Sez. 6, Sentenza n. 1219 del 12/11/2019, dep. 2020, Cocciadiferro, Rv. 278123).

4.4. Infondato è il quarto motivo del ricorso, concernente una violazione di legge processuale nella quale può ritenersi assorbita la generica censura in ordine alla logicità della motivazione.

Alla luce del pacifico indirizzo esegetico, in base al quale, in tema di letture ex art. 512 c.p.p., la prevedibilità della successiva irreperibilità del teste in fase dibattimentale deve essere valutata dal giudice "ex ante" e, quindi, con riferimento alle circostanze note o conoscibili secondo un criterio di ragionevolezza, fino al momento in cui la parte interessata avrebbe potuto chiedere l'incidente probatorio (così, ex multis, Sez. 6, Sentenza n. 50994 del 26/03/2019, D., Rv. 278195), deve ritenersi pienamente legittima la decisione della Corte di appello che ha disatteso l'eccezione difensiva di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese durante le indagini dalla persona offesa S.G., di cui era poi stata lettura nel corso del giudizio dibattimentale: considerato che, all'epoca delle investigazioni, il predetto risultava persona pienamente inserita nel tessuto sociale e lavorativo del nostro Paese, dato che, immigrato in Italia nel 1989, risiedeva anagraficamente con la propria famiglia in un comune del cremasco, aveva svolto continuativamente l'attività lavorativa quale dipendente inquadrato di una ditta di autotrasporti; quadro, questo, nel quale era ininfluente che lo stesso avesse cominciato a consumare sostanza stupefacente, trattandosi di straniero che all'epoca si trovava in una condizione in relazione alla quale non era ragionevolmente possibile presagire che potesse allontanarsi dall'Italia e rendersi irreperibile.

4.5. Prive di pregio sono le doglianze di analogo tenore contenute nel quinto e nel sesto motivo del ricorso, riguardanti la qualificazione giuridica dei fatti accertati.

E' pacifico nella giurisprudenza di legittimità che il reato di concussione di cui all'art. 317 c.p. ha in comune con quello di violenza privata aggravata, di cui all'art. 610 c.p. e art. 61 c.p., n. 9, l'azione di chi, con abuso di qualità o di poteri connessi ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio, costringe altri a fare o ad omettere qualche cosa: ma laddove la costrizione sia finalizzata ad ottenere la promessa o la dazione di denaro o di pubblica utilità, il pubblico agente è chiamato a rispondere del più grave reato contro la pubblica amministrazione, anzichè di quello contro la libertà morale di una persona. Situazione nella quale è certo che il termine "utilità" indica tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, oggettivamente apprezzabile, consistente tanto in un dare quanto in un "facere" (così, ex plurimis, Sez. 6, n. 33843 del 19/06/2008, Lonardo, Rv. 240796).

E', dunque, corretta - oltre che, come anticipato, logicamente inattaccabile la decisione della Corte bresciana la quale ha ritenuto che le condotte tenute dal G. nei riguardi del cittadino indiano S.G. e di M.F. avessero integrato gli estremi dei reati di tentata concussione e di concussione addebitati ai capi 10) e 12), avendo l'imputato agito al precipuo scopo di accrescere il proprio prestigio personale e professionale all'interno della sua comunità lavorativa, e di acquisire benemerenze di cui obiettivamente avrebbe potuto beneficiare, come ha riferito il teste Iacovacci, in sede di progressione in carriera ovvero per l'assegnazione ad altri reparti o per l'affidamento di incarichi fiduciari (assegnazioni e affidamenti ai quali il prevenuto ha ammesso di aver ambito). Eloquente è il passaggio di quella captazione ambientale, di cui non vi è traccia nell'atto di impugnazione, nel corso della quale il G. era stato registrato mentre con il collega V. commentava con disappunto di essere stati "battuti" dai carabinieri del nucleo radiomobile di Cremona in ordine al numero di arresti effettuato in un determinato periodo: a conferma che da quel dato aritmetico finiva per dipendere la maggiore o minore importanza di un reparto all'interno di quella provincia.

Nè può fondatamente sostenersi che quelle iniziative rispondessero esclusivamente a finalità istituzionali, sia perchè poste in essere con modalità di per sè illecite (quali l'assenza di autorizzazioni per lo svolgimento di attività asseritamente sotto copertura, integranti vere e proprie forme di induzione di terzi a commettere un reato; oppure l'impiego di minacce con un'arma), sia perchè riferibili, come convincentemente evidenziato dai giudice di merito, da un soggetto che a sua volta era interessato a trafficare in droga.

4.6. Di tenore indeterminato sono le violazioni di legge denunciate nel settimo motivo del ricorso.

4.7. Manifestamente infondata è la lamentata violazione dell'art. 490 c.p., contenuta nell'ottavo motivo, in quanto è consolidato l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale la norma incriminatrice contenuta nel predetto articolo sanziona anche le condotte di soppressione, distruzione e occultamento di certificati o autorizzazioni amministrative, giusta il richiamo all'art. 477 c.p. presente in quella disposizione (in questo senso, tra le molte, Sez. 5, n. 11072 del 21/10/2014, dep. 2015, Gentile, Rv. 263101).

5. Inammissibili sono, altresì, gli ultimi quattro motivi del ricorso del G..

5.1. Il decimo motivo è generico, in quanto il ricorrente non si è confrontato con la motivazione della sentenza impugnata laddove è stato chiarito come il G. detenesse illegalmente un numero di munizioni calibro 9x19 parabellum superiore a quello di quello di quindici unità, pari a quello di cui è permessa la detenzione unitamente al caricatore della relativa pistola di ordinanza.

D'altro canto, se si considera come integri gli estremi del delitto di cui alla L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 2 la detenzione non dichiarata di un numero di armi comuni da sparo in numero superiore da quello consentito, non vi è ragione per escludere la configurabilità del reato contravvenzionale di cui all'art. 697 c.p. nel caso di detenzione non dichiarata di un numero di munizioni superiore a quello permesso in relazione ad un'arma legittimamente detenuta. In tal senso si è espressa anche questa Corte di cassazione che, con un orientamento esegetico oramai nettamente prevalente, ha affermato che integra il reato previsto dall'art. 697 c.p. l'omissione della denuncia delle cartucce detenute in numero eccedente il normale munizionamento di un'arma già regolarmente denunciata, ossia oltre il limite della capienza del relativo caricatore (così, da ultimo, Sez. 1, n. 24506 del 09/06/2010, Naccarato, Rv. 24775).

Non pertinente, dunque, è il riferimento all'art. 38, comma 2 t.u.l.p.s., che, nell'escludere che siano tenuti all'obbligo di denuncia all'ufficio di pubblica scurezza "i corpi armati, le società di tiro a segno e le altre istituzioni autorizzate, per gli oggetti detenuti nei luoghi espressamente destinati allo scopo", fa implicitamente riferimento alle armi, alle parti di esse o alle munizioni detenute non da singoli soggetti, ma dalla istituzione (il "corpo") ovvero dalla organizzazione collettiva già preventivamente autorizzata a detenere quegli oggetti senza previa denuncia.

Non censurabile, nè sotto l'aspetto giuridico nè sotto quello logico-motivazionale, è la decisione della Corte di appello di escludere che potesse essere qualificato come ridotta o scarsa offensività la disponibilità illegale, da parte di un sottufficiale dell'arma dei carabinieri, di un così elevato numero di munizioni di rilevante potenzialità lesiva, considerato che i reati in materia di armi tutelano l'interesse alla sicurezza pubblica, prescindendo dal valore economico dei beni detenuti.

5.2. Manifestamente infondato è l'undicesimo motivo del ricorso, in quanto la valutazione dell'unicità del disegno criminoso nel reato continuato appartiene alla cognizione del giudice del merito, ed e sottratta al sindacato di legittimità quando la motivazione sia immune da vizi logico-giuridici: come nel caso di specie è accaduto, avendo la Corte territoriale congruamente giustificato la scelta di escludere che potessero considerarsi commessi in esecuzione di un medesimo preordinato disegno criminoso i plurimi delitti di cessione continuata di cocaina commessi dal G. in favore delle indicate ragazze dei locali notturni, con i reati contravvenzionali, pure cronologicamente sganciati dai primi, di guida di un autoveicolo in stato di alterazione psico-fisica dovuto alla personale assunzione di droga.

5.3. Anche gli ultimi due motivi sono in parte manifestamente infondati e in parte generici.

Il ricorrente ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali i giudici di merito avevano esercitato il potere discrezionale a loro concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della quantificazione della pena da irrogare: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.

Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito, considerato ininfluente il mero dato formale dello stato di incensuratezza, aveva ritenuto ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche e ad una ulteriore riduzione della pena irrogata il fatto che l'imputato fosse stato autore di così numerosi e gravi reati, tutti commessi con elevata intensità di dolo e in violazione dei propri doveri di sottufficiale dei carabinieri: trattandosi di parametri considerati dall'art. 133 c.p., applicabile anche ai fini dell'operatività dell'art. 62-bis c.p..

Di generico tenore appaiono, infine, le censure finalizzate ad ottenere una diminuzione di pene che risultano determinate in misura prossima ai limiti edittali minimi e con aumenti contenuti per i reati posti in continuazione.

6. Al rigetto segue la condanna del G. al pagamento delle spese del procedimento e la condanna, in solido con i responsabili civili, alla rifusione in favore della costituita parte civile S.A. delle spese di difesa del grado che, in ragione dell'attività effettivamente svolta, si liquidano nella misura meglio indicata in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, G.A. e i responsabili civili alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile S.A., che liquida in complessivi Euro 2.900,00, oltre accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2021
Avv. Antonino Sugamele

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